Atina e la stanza dell'Alchimista

 

 

NELLE TRADITERRE

 

Uno scroscio di pioggia destò di colpo Atina che balzò subito in piedi afferrando la spada, ancora perduta in chissà quale sogno guerresco. La rinfoderò rendendosi conto che erano soltanto gocce d’acqua che venivano giù da un cielo così cupo che pareva ancora notte.

Svegliò gli altri.

– Che succede? – domandò Enomis stiracchiandosi.

– Sta piovendo…

 

Anche il giovane alchimista s’era alzato in piedi avvicinandosi al cavaldrago che dormiva beatamente. La pioggia non pareva affatto disturbarlo.

Quando Ravis lo accarezzò, Opinor aprì un occhio che subito richiuse.

– Sono davvero dei pigroni, questi cavaldraghi – scherzò Ravis.

Ma le parole di Atina gli guastarono il buonumore.

– Ma Otrebor dov’è?

 

Lo cercarono nei dintorni. Non c’era traccia di lui, tranne che per l’impronta lasciata dal suo corpo sul letto di foglie dove aveva dormito e per qualche orma che trovarono per terra.

 

– Per quanto possa conoscerlo, potrebbe essersi allontanato per cercare qualcosa da mangiare – considerò Ravis.

– Ce n’è in abbondanza nel sacco – disse Atina che fra i tre sembrava quella più in pensiero. – Perché avrebbe dovuto cercarla altrove?

 

Lo chiamò a gran voce, tanto che Opinor si svegliò e subito i eresse in tutta la sua altezza.

 Non possiamo partire senza di lui – disse la ragazza.

– Proviamo a cercarlo al di là di questi alberi – consigliò l’alchimista.

– Ehi, – disse allora Enomis,  non ci sono più né la pipa, né il tabacco, né la fiaschetta con il vingiocoso…

– Deve averli presi Otrebor – decise Ravis.

Lasciarono lì il cavaldrago, e si incamminarono in mezzo agli altissimi alberi che circondavano la radura. Continuava a piovere, e presto i vestiti furono zuppi, ma nessuno si fermò.

Anche gli ultimi alberi furono alle loro spalle, mentre si apriva davanti a loro una distesa priva d’ogni vegetazione.

 

Ma, sebbene la vista non fosse impedita da nessun ostacolo, di Otrebor non c’era traccia.

 

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Atina però continuò a camminare, seguita da suo fratello e dall’apprendista alchimista che s’era portato dietro le mappe e anche il rintraccia-cammino.

A un tratto apparvero dei cespugli che gli sbarrarono la strada.

– Forse è andato in questa direzione – disse la ragazza dai capelli rossi, che precedeva tutti.

 

Facendosi largo con la spada, penetrò fra i cespugli, e quando fu dall’altra parte sentì qualcosa di strano sotto i piedi.

Senza darle il tempo di avvisarli del pericolo, Ravis ed Enomis avevano anche loro superato la barriera di rovi.

– Ma che sta succedendo…

– La terra affonda sotto di noi…

 

E mentre dicevano queste poche parole, erano già sprofondati fino alle ginocchia.

 

– Sono sabbie mobili! – capì Atina e si girò verso i cespugli con la speranza di poterli afferrare, ma erano troppo distanti.

– Accidenti a me! – gridò Ravis che teneva ancora strette nel pugno le mappe.

 

Nonostante il momento drammatico, ebbe il tempo di consultarne una.

– Dovevo stare più attento… queste terre sono riportate anche qui… maledizione alla mia distrazione! Sono le

Traditerre! Così è scritto sulla mappa…

 

E appena detto questo sprofondò fino alla cintola.

 

Gli altri due erano affondati solo fino alle ginocchia, ma quando Enomis prese a imprecare contro quello sciocco del

loro compagno che s’era allontanato senza motivo, improvvisamente venne risucchiato sino alla vita come Ravis.

 

– Zitti, zitti – disse allora la ragazza. – Qui si va giù appena si fa un brutto pensiero!

Doveva essere proprio così, perché Ravis stava continuando a scendere, mentre si rammaricava sempre più per la sua sbadataggine.

– Non riesco a pensare ad altro – farfugliò, ormai ricoperto di terra molle fino al petto.

 

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– Dobbiamo cercare di pensare a cose allegre!

– Una parola! – replicò Enomis scendendo un altro poco.

Anche Atina era calata nelle sabbie mobili, ma con sforzo pensò a una storiella spiritosa che le aveva raccontato tempo prima una sua amica.

La ripeté a voce alta, sforzandosi di ridere.

 

– Non la trovate fortissima?

– Per niente – rispose suo fratello al quale le barzellette non erano mai piaciute.

Questo gli costò assai caro: scese talmente tanto che gli restò fuori solo la testa.

– Aiuto!

– Qua finisce male… – piagnucolò Ravis.

– Pensate a qualcosa di divertente, per la miseria! – gridò Atina.

Ma pareva proprio che a nessuno venisse in mente un episodio allegro.

– E pensare che mi sarebbe bastato consultare le mappe… –  gemé l’alchimista.

– Che fine stupida… addio… – disse Enomis.

 

Fra i tre, solo Atina pareva non essersi arresa.

E dato che aveva ancora entrambe le braccia fuori, cercò con tutte le sue forze di sgusciare da quelle maledette sabbie che la  risucchiavano, ma nel muoversi finì per andare ancora più giù.

 

Sospirò e pensò chissà perché a Baltus, che aveva prestato oro il cavaldrago…

 

E mentre questo pensiero le attraversava la mente, sentì come uno spostamento d’aria sopra la sua testa.

 

Alzò lo sguardo.

A qualche metro dalle Traditerre, Opinor svolazzava come un ciclopico uccello.

Due lunghissimi squilli di tromba le dissero di non temere, e un terzo più breve concluse che l’avrebbe tirata fuori da lì.

– Il cavaldrago! – esultò Ravis e avrebbe voluto indicarlo ma aveva le braccia dentro le sabbie mobili.

 

Continuando a sbattere le ali, Opinor scese un altro poco, quel tanto che bastò per sfiorare Atina con la lunga coda di drago.

La ragazza ci si afferrò e quando Opinor volò più in alto entì il suo corpo liberarsi dalla terribile trappola.

 

– E noi?

– Aspettate… in qualche modo vi tirerò fuori… – promise Atina che s’era sistemata sul dorso del cavaldrago.

 

Ma come? Quei due erano imprigionati fino al collo e non avrebbero potuto afferrare la coda di Opinor né una corda, sempre che facesse parte del loro equipaggiamento.

Opinor continuava a volare in tondo sopra le Traditerre mentre Ravis e Enomis sparivano sempre più.

Atina temette il peggio, ma all’improvviso le venne un’idea.

 

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Senza perdere tempo, raggiunse la testa del cavaldrago a cui sussurrò qualcosa all’orecchio.

Opinor emise due suoni acutissimi e subito volò molto più in basso. Quando fu a neppure mezzo metro dalle Traditerre si lasciò cadere di botto: come uno smisurato sasso, metà del suo corpo precipitò nelle sabbie mobili, provocando l’inevitabile spostamento di queste che in gran parte schizzarono fuori dal bacino come un’onda e con esse anche i due prigionieri.

Il cavaldrago agitò le ali e volò via, atterrando dove Ravis ed Enomis erano finiti: entrambi appesi ai rami di un albero.

– Cavolo che volo! – fu quanto disse l’alchimista quando scese dall’albero, ma la sua soddisfazione per essersi salvato

durò poco:

– Ho perso le mappe e anche il rintraccia-cammino! – si disperò.

– Ma no, eccoli laggiù – lo rassicurò Atina.

– Che razza di idea ti è venuta in mente? A momenti mi ammazzavo – la rimproverò Enomis.

– Che altro sistema c’era? E poi il principio di Archimede funziona sempre: un corpo immerso in un liquido…

– Non so chi sia questo Archimede, ma gli sono molto grato – disse Ravis raccogliendo le sue mappe e il rintraccia-

cammino.

 

Aveva smesso di piovere. Un accenno di sole s’intravedeva nel cielo invernale.

– Sarà meglio rimetterci in viaggio –  consigliò Atina.

– E Otrebor? –  disse Ravis.

– Sarà finito nelle sabbie mobili come noi; e a quest’ora… poveretto – concluse Enomis balzando a terra.

– Non credo. Quando mi sono fatta spazio fra i cespugli con la spada, ho notato che sulla terra molle non c’erano orme. Ciò significa che il nostro compagno non è passato da questa parte…

– Dovremmo cercarlo ancora… o forse aspettarlo qui… –  commentò l’alchimista. – Ma non c’è tempo… dobbiamo

continuare il viaggio.

 

Il cavaldrago aveva già spiegato le ali. Gli salirono in groppa e in un batter d’occhio tutto quello che appariva

immenso e misterioso diventò piccino e insignificante.